La razionalizzazione dei percorsi tra XVI e XVII secolo
Quando nella seconda metà Cinquecento si predisposero sventramenti urbani e rettifiche dei percorsi, necessari a razionalizzare il disegno della città, era fatale che le operazioni si scontrassero non solo con le numerose preesistenze, ma soprattutto con una orografia complessa fatta di avvallamenti e di ripide differenze di quota. In questo contesto gli interventi più radicali e difficoltosi si concentrarono nella costruzione della celebre scalinata per raggiungere la chiesa madre (Santa Maria del Monte) e qualche decennio dopo nel ponte costruito per ottenere un collegamento diretto con il quartiere dominato dal convento francescano.
La razionalizzazione dei percorsi tra XVI e XVII secolo
Nell’audace concezione di una città moderna, attraversata da strade ampie e da assi viari pressoché rettilinei, il Senato di Caltagirone prendeva ispirazione dalle grandi operazioni attuate a Palermo e Messina, non è un caso ritrovare attivi in città professionisti provenienti da entrambe le “capitali” siciliane.
La scala monumentale
L’imponente ascesa all’acropoli e alla chiesa madre, venne completata nel 1606 con il contributo decisivo di maestranze provenienti dalla Sicilia occidentale e con il ruolo guida dell’architetto palermitano Giuseppe Giacalone. Ulteriori interventi di ammodernamento si registrano intorno alla metà del XIX secolo, con nuovi disegni predisposti dall’architetto Salvatore Marino. Solo in tempi recenti si è arricchita l’immagine della scalinata per mezzo di una decorazione dei gradini con piastrelle di ceramica policroma.
La scala monumentale
All’intervento di decoro urbano del XIX secolo, si devono probabilmente gli smussi con balconcini angolari che caratterizzano alcuni palazzetti che prospettano sulla scala. La continuità di cura nell’arredo e nell’immagine di decoro civico caratterizza la storia della città.
Il ponte di San Francesco
La costruzione del ponte di San Francesco, una infrastruttura destinata a collegare la collina dove sorgeva il convento con il centro cittadino, fu oggetto di un lungo dibattito, di perizie e di disegni contrapposti a causa delle difficoltà connesse alle fondazioni e all’intercettazione di percorsi stradali preesistenti. Decisivo fu il contributo nel 1626 dell’architetto romano Orazio Torriani, in quel momento impegnato nella progettazione della chiesa madre di Piazza, ma la costruzione si prolungò per decenni e solo l’intervento di un architetto francescano, il messinese Fra Bonaventura Certo, nel 1666 permise la conclusione dell’annoso cantiere.
Il ponte di San Francesco
Il ponte costituiva il rimedio indispensabile per una frattura urbana: un intero quartiere risultava separato dal Centro e solo raggiungibile attraverso percorsi tortuosi e non carrabili. L’urgenza di un ponte tuttavia si scontrava non solo con problemi tecnici, ma anche con la necessità di impiantare un cantiere nel cuore di una zona abitata.
Il palazzo Sant’Elia
La realizzazione del palazzo Sant’Elia, almeno per la parte più prossima al ponte di San Francesco, risale agli anni Ottanta del Settecento. L’architetto, molto probabilmente il siracusano Natale Bonaiuto, riuscì a integrare visivamente il prospetto estremo e più stretto dell’edificio con la situazione urbana. Chi percorre il ponte e osserva da una prospettiva più elevata può ammirarne l’audace terminazione di sapore centro europeo mentre l’arcata maggiore inquadra, come in una scenografia teatrale, il breve e alto prospetto rinserrato da paraste.
Il palazzo Sant’Elia
Il rapporto tra palazzo e ponte individua una delle strategie che gli architetti del tardobarocco attuano: prendere spunto dalle difficoltà e dai condizionamenti del luogo per configurare una teatralizzazione delle vedute.
La chiesa di San Francesco
Come molte altre fabbriche religiose della città anche la chiesa di San Francesco era stata colpita duramente dal sisma del 1693. La facciata iniziò ad essere ricostruita a partire dal 1724 dai maestri Pietro Merita e Antonino Rizzo, tuttavia nel 1727 vennero sostituiti da una squadra di operatori, già impegnati nella ricostruzione della chiesa gesuitica. Si trattava dei fratelli Tommaso e Andrea Amato coadiuvati dal giovane cognato Francesco Battaglia: l’impresa familiare che stava ricostruendo l’enorme complesso benedettino di Catania.
La chiesa di San Francesco
La facciata progettata e costruita dagli Amato riprendeva temi già sperimentati a Catania ed era certamente una delle costruzioni più moderne dell’intera diocesi. L’anno successivo, nel 1728, tuttavia si avviava il concorso per la facciata della cattedrale di Siracusa che avrebbe impresso una strada radicalmente alternativa all’architettura locale.