Giorgio, il cui nome in greco significa agricoltore, è originario della Cappadocia; ufficiale delle Milizie di Diocleziano, si convertì al Cristianesimo, in Palestina. Il culto di San Giorgio si diffuse in Occidente soprattutto durante la dominazione Normanna: una leggenda infatti narra che il santo cavalcasse accanto a Ruggero, durante le battaglie contro i musulmani. In passato, i festeggiamenti in onore del santo patrono duravano nove giorni e la chiesa a lui dedicata veniva illuminata con torce e candele e con quattro grandi lumi che pendevano dal soffitto. In processione sfilavano le varie confraternite con i loro gonfaloni, mentre sui carri vari personaggi in costume rappresentavano gli episodi più significativi della vita del Santo. La sfilata si concludeva con la maschera di un enorme drago trascinato dalla Vergine di Berito. Oggi la festa si celebra l'ultima domenica di maggio oppure all'inizio di giugno e il momento più atteso è la ballata del santo. San Giorgio era anche il santo protettore dei tonnaroti perché così come lui uccise il drago con la lancia, loro, invocandolo, avrebbero catturato tanti tonni.
Le giaculatorie dedicate a San Giorgio
Secondo una tradizione popolare siciliana, per ottenere una grazia bisognava invocare il Santo con la seguente giaculatoria:
Giorgio cavaliere
Vui a cavaddu e iu a peri,
vuica isti a lulivanti
evinisti a lu punenti
starazia m’ata fari
tempu ‘nnenti
(San Giorgio cavaliere/voi a cavallo e io a piedi/voi che siete andato a levante/ che venite da ponente/questa grazia mi dovete fare in tempo breve)
Invocazione contro la tromba d’aria
Tri niulispuntanu
Una di acqua, una di vientu, una cura traunara
San Giorgio, cu la lancia lucenti
Tagghia a prima, tagghia a secunna
Stampa a cura traunara intra na timpa
(Tre nuvole sono spuntate/una di acqua, una di vento, una di tromba d’aria/San Giorgio con la lancia lucente, taglia la prima, taglia la seconda sbatte la tromba d’aria in una roccia)
San Giovanni Battista Patrono di Ragusa Superiore
San Giovanni Battista è l'unico Santo celebrato liturgicamente nel giorno della sua nascita, il 24 giugno. Nella tradizione popolare, questo giorno coincide con il solstizio d'estate ed è importante quanto quello della Natività del Cristo, la notte del 24 dicembre, che coincide invece col solstizio d'inverno, tanto che la natività del Battista è chiamata il Natale d’estate. Nel ragusano, era usanza, alla vigilia del 24 giugno, consumare delle fave fresche perché si riteneva che ogni fava mangiata corrispondesse a un peccato perdonato. Inoltre le ragazze da marito raccoglievano un fiore chiamato di San Giovanni e, togliendo i petali, ripetevano “San Giovanni si San Giovanni no, mi marito entro l'anno, sì o no”. A Ragusa superiore, il 24 giugno, San Giovanni viene celebrato liturgicamente con una messa solenne e con l'esposizione della sua sacra reliquia incastonata in un braccio d'argento della statua in pietra calcarea del XVI secolo mentre festeggiamenti solenni del patrono si svolgono il 29 agosto, data del suo martirio. L’etnoantropologo Giuseppe Pitré descrive un'antica usanza, di devoti a cavallo recanti ciascun ramo verde durante la processione, probabilmente rami di alloro che durante i temporali venivano esposti sopra il letto e invocando il santo si ripeteva: San Giuvanniapuostulu ranni, dabbanna mari unni nun ci su né turchi e mancu cristiani, unni nun luci luna e nun canta iaddu. (San Giovanni, grande apostolo, fa che i temporali vadano a finire dall’altra parte del mare dove non ci sono né turchi e nemmeno cristiani, dove non splende la luna e non canta il gallo).
Fiume Irminio
Istituita nel 1985 dall'Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, insiste intorno alla foce del fiume Irminio in territorio di Ragusa e Scicli. Il territorio è costituito da una zona costiera che si affaccia sul Mediterraneo con coste sabbiose ma anche falesie strapiombanti in mare. Le dune mobili spostate dal vento sono importanti per la presenza delle piante dunali come il ginepro coccolone e l’efedra fragile, ad esse si associano essenze quali il lentisco e l’ogliastro. Lungo le rive del fiume sono presenti rari esemplari di pioppo e di salice, la fauna invece è costituita principalmente da uccelli migratori che usano la riserva come luogo di sosta per rifocillarsi dopo il lungo viaggio. Tra questi ricordiamo: il cavaliere d'Italia, che in dialetto prende il nome di cianciulinu perché durante il periodo di nidificazione gli intrusi vengono assaliti da picchiate velocissime e forti grida dell’animale; l'avocetta, il mestolone, la volpoca, i numerosi cormorani e il falco di palude. Fra i mammiferi vanno ricordati la vivacissima donnola, sempre a caccia di conigli selvatici, e la nutria introdotta in passato nella riserva. Nel fiume, nuota e caccia l'elegante biscia dal collare, famosa per le lunghe apnee che si possono protrarre anche per più di 15 minuti. Percorso di lieve difficoltà.
Arte del muretto a secco
Solo l'uomo, nell'ultimo secolo, ha voluto interrompere l'armonia creata dalle dolci bianche catene dei muretti a secco. Con il cemento, ha violato l'equilibrio uomo-natura che resisteva da secoli in tutto l'altopiano Ibleo, il risultato spesso è stato il dissesto idrogeologico. La pietra scheggiata e lavorata ad arte, costituisce il materiale di un costruire spontaneo sicuramente antico, evoluto nel tempo, fino a modelli architettonici e rurali di straordinaria bellezza e armonia. Dal pagghiaro, a naca si è piegata ed è diventata plastica per decori sempre più preziosi e committenza più esigente. Il muro a secco o a crudo caratterizza il paesaggio ibleo, in particolare nel versante ragusano. D'antica data ha assunto questo nome per indicare una muratura senza uso di malta. Il grande impiego della tecnica del muro a secco diede luogo al formarsi di una categoria di artigiani specializzati la cui attività ebbe grande sviluppo già nel Cinquecento e nel Seicento. I muri a secco sono stati la forma più economica di divisione colturale e strumento di risparmio della manodopera altrimenti necessaria alla custodia del bestiame. Di particolare pregio sono i “manniri o lupu”, ovili di fortificazione contro gli assalti del lupo.