Gli ambienti della casa museo, nel pianterreno di Palazzo Ferla, in passato erano abitati dal massaro alle dipendenze del proprietario terriero, il quale occupava la parte superiore del palazzo.
Particolare di collari di buoi– Casa Museo Antonino Uccello
Il massaro, oltre al lavoro dei campi dove impiegava i buoi per l’aratura, produceva anche la ricotta, riceveva in consegna le derrate e gabelle degli affittuari e sovrintendeva ai lavori del frantoio per la macina delle olive.
Atrio con immagine del Fondatore della Casa Museo Antonino Uccello
Antonino Uccello nasce a Canicattini Bagni nel 1922, emigrato nel 1947 in Lombardia, insegna nelle scuole elementari della Brianza. Uccello, cosciente che in quegli anni e quelli successivi il patrimonio materiale e quello immateriale della sua terra sarebbe stato a rischio, matura l'idea della casa museo. In Brianza, Antonino Uccello porta gli oggetti simbolo della civiltà contadina e li presenta in mostre d'arte presso gallerie del nord Italia. In Lombardia si forma come poeta intrecciando relazioni con Treccani e Budigna per poi nel 1961 fare ritorno in Sicilia, dove acquista un'ala del palazzo Ferla e qui vi trasporta tutti gli oggetti della civiltà contadina raccolti nel tempo.
Casa ro furnu del Museo Antonino Uccello
Il cortile presenta una scala esterna per l'accesso al piano superiore, in un angolo si trova la cisterna per la raccolta delle acque meteoriche e su di esso uno strumento in ferro usato in caso di perdita del secchio nel pozzo. Accanto al cortile, la cucina dove, dietro la porta d'accesso, sono disposte le immagini dei santi protettori, una crocetta di foglie di palma intrecciata e benedetta la Domenica delle Palme e, in un altro angolo, il forno di pietra e mattoni, senza canna fumaria così che il fumo si perdeva nella stanza e andava ad affumicare la salsiccia.
A lato A casa i stari dove abitavano gli sposi massari, vi si trova il letto a due piazze con i trispiti, i tavoli e i materassi di lana di pecora. Sospesa in aria, fissata alle pareti, la culla a volo “a naca a vuolu”.
“c’è na varcuzza fatta di tila
Camina co vientu e senza vientu
Rintra carni ca cianci e riri
Fora carni ca canta e sona”
(C’è una barchetta fatta di tela che si muove col vento e senza vento /dentro carne che piange e ride /fuori carne che canta e suona/)
U trappitu
Il frantoio, u trappitu, è l'ambiente più scenografico della Casa Museo,una casa della civiltà contadina, aperta al pubblico nel 1971, e diventata il fulcro e il modello dei cosiddetti musei etnografici non solo siciliani.
I pupi e i carretti
Sulla parete di fondo è disposto un palco di legno eseguito dal falegname Gianni Malignaggi, su indicazione del puparo don Ignazio Puglisi, il quale ha anche curato la disposizione delle scene, dei pupi e dei cartelloni. Le grandi scene del catanese sono dodici, dipinte a tempera su tela; altre trenta scene sono più piccole e adoperate per teatrini di dimensioni più ridotte. I pupi esposti sono in gran parte provenienti dal puparo don Gaspare Canino. Le collezioni comprendono anche dei cartelloni del palermitano, provenienti dal Canino: rispetto a quelli del catanese, questi cartelloni del palermitano sono più grandi, disposti in senso verticale, dipinti a tempera su tela e divisi in vari riquadri; riportano le scene più salienti della narrazione, e sono uguali a quelli che adottano i cantastorie. Particolare risalto assumono le collezioni relative al carretto e ai ferri battuti. Questo veicolo, com’è noto, sorto agli inizi dell’Ottocento per l’incremento graduale di nuove strade, aveva attratto l’attenzione di viaggiatori e studiosi, e aveva assunto dei caratteri peculiari molto diversi soprattutto nel palermitano e nel catanese.