Per tutti i centri del Val di Noto, le difficili strade della modernità, sono passate per massicci interventi di risanamento igienico e di adeguamento ai tempi (dall’illuminazione pubblica alle reti fognarie), mentre a incarnare simbolicamente il progresso erano quasi sempre architetture nuove e impegnative: dai teatri ai municipi. Con questa radicale ambizione si spiega il fuori scala del palazzo comunale di Palazzolo, costruito nello snodo urbano prospiciente la chiesa di San Sebastiano e aperto verso i quartieri di nuova espansione.
Le strade della modernità
La posizione urbana risulta congeniale per erigere un complesso regolare, con un prospetto principale su una piazza dove confluiscono strade della vecchia e della nuova città e quelli laterali che definiscono i fronti di rilevanti arterie urbane.
Un edificio per la comunità
L’acquisizione pubblica del complesso conventuale della Badia, a fine XIX secolo, permetteva di disporre di un lotto in un luogo decisivo per i destini della cittadina, a margini dei quartieri più antichi e luogo di confluenza delle strade che definivano il nuovo ampliamento urbano. Il progetto ( datato 1908 e realizzato a cura degli ingegneri Polini e Portuesi) entrava in dialogo con il contesto, definendo un isolato autonomo con due lati interamente porticati, adatti alla dimensione dell’edificio e alla sua funzione civica.
Un edificio per la comunità
Il palazzo intendeva competere con la vicina facciata di San Sebastiano, i progettisti tuttavia non si adeguarono al modello neorinascimentale, molto diffuso dopo l’Unità d’Italia, ma inserirono consapevolmente sagome e intagli neobarocchi.
Tra passato e futuro
Le scelte architettoniche svelano sempre la rappresentazione di una società. Nel palazzo di città di Palazzolo, nel frattempo diventata Palazzolo Acreide, si condensavano e si sintetizzavano quindi differenti aspettative delle élites locali. Oltre alle finalità più ovvie, di natura amministrativa, in un’epoca caratterizzata dalla fiducia nel progresso, la modernità non passava per l’adeguamento alle mode o per la cancellazione o superamento radicale del passato, ma ne costituiva anche una naturale continuazione.
Tra passato e futuro
Sempre nell’ottica della continuità anche il lavoro artigianale degli esperti intagliatori locali trovava nella definizione decorativa dell’edificio un fertile campo di azione.
Il museo dei viaggiatori
Non molto lontano dal palazzo comunale si trova una piccola ma importante realtà museale che rientra pienamente nel racconto delle tante identità della Sicilia sud orientale. Il Museo dei Viaggiatori è ospitato dal 2008 nel palazzo Vaccaro, un edificio ottocentesco di proprietà comunale. In un contesto adeguato e con una acccurata qualità espositiva sono esposti, libri, carte geografiche, incisioni. Il tutto è finalizzato a raccontare il Grand Tour, attraverso le rappresentazioni della Sicilia offerte dai viaggiatori europei del Settecento e Ottocento.
Il museo dei viaggiatori
Lo sguardo prevalentemente rivolto ai viaggiatori del Settecento fa emergere il cortocircuito tra l’appassionata ricerca del passato greco e la contemporanea realtà locale impegnata nella ricostruzione tardobarocca.
Le rappresentazioni settecentesche del Val di Noto
Se i viaggiatori ignorano generalmente l’architettura tardobarocca, le loro osservazioni e rappresentazioni si soffermano prevalentemente sugli aspetti naturalistici e sugli episodi di archeologia. Si tratta di una selezione che per lungo tempo ha definito fisionomia e identità dei centri iblei, sino alla “riscoperta” dell’architettura del Settecento, avvenuta nella seconda metà del XX secolo. Nel percorso museale emerge il protagonismo di Jean Houël e delle sue acquatinte di luoghi paradigmatici, con vedute che hanno a lungo e profondamente condizionato il racconto di questo lembo di Sicilia.
Le rappresentazioni settecentesche del Val di Noto
Nel suo Voyage pittoresque des isle de Sicilie, de Malte et de Lipari, (in quattro volumi pubblicati tra 1782 e 1787), Jean Houël (1735-1813) è probabilmente il primo artista-viaggiatore a rappresentare con raffinate acquatinte le affascinanti antichità di Akrai.