Il territorio di Catania è caratterizzato da tre regioni naturali: il mare, la pianura e la montagna/vulcano. Quest’ultima, l’Etna, è stata definita “uno dei maggiori colossi eruttivi della terra”, “il massimo vulcano d'Europa”, e “una grandiosa montagna, così isolata da giustificare quasi il volo poetico di Pindaro che la chiamò la colonna del cielo”.
La più famosa descrizione dell’Etna in età moderna la diede Tommaso Fazello, autore della prima importante opera storico-geografica sulla Sicilia: il De Rebus Siculis (1558). Qui viene celebrata soprattutto l’area ionico-etnea (l’Etna di Catania e quella di Acireale), quella parte dell’isola che comprendeva due “regioni naturali”: la più grande pianura della Sicilia (ben 430 km2) e il più alto vulcano d’Europa (più di 3.300 metri di quota).
Nella descrizione di Fazello Il vulcano/montagna veniva ulteriormente diviso in tre “regioni” denominate, in latino, pedemontana (cioè situata ai piedi del monte), nemorosa (boscosa) e aperta (cioè scoperta, deserta). Quest’ultima era quella che si trovava in cima, e veniva così definita perché «non vi si trovava selva alcuna, né alcun albero». Era (ed è), questa, l’Etna “terrificante”, con i suoi paesaggi lunari disegnati dai crateri spenti e dai differenti colori delle varie eruzioni; e con, in cima, i quattro crateri sommitali, sempre “operosi”. L’Etna – lo ricordiamo – è tra i vulcani più attivi del mondo.
La bellezza della ginestra
Ma anche sulla cima del vulcano, nella regione “aperta” (e cioè deserta), la vita vegetale riesce a manifestarsi e a contendere la terra al vulcano. Pur in condizioni difficilissime, alcune piante endemiche riescono infatti ad attecchire fra la lava, come il Bagolaro dell’Etna, o la Betulla dell’Etna, dalla corteccia chiara e dallo sviluppo a cespuglio. O la Camomilla dell’Etna, dal fiore bianco e dall’aspetto cespuglioso, e il Senecio dai fiori gialli: le due sole specie che riescono a vivere ad oltre 3.000 metri di quota. Ma quella veramente caratteristica è la Ginestra dell’Etna, un albero vero e proprio, capace di raggiungere l’altezza di 8-10 metri e di crescere anche a 1.900 metri di quota. Le radici di questa pianta sono capaci di frantumare la lava, aiutando così le altre piante – ma anche l’uomo – a rivitalizzare il territorio distrutto dalle eruzioni. Ecco perché la ginestra è diventato un simbolo potente della capacità di adattamento dell’uomo alla Natura selvaggia.
Il Castagno dei Cento Cavalli
La seconda regione descritta da Fazello è quella “nemorosa”, cioè ricoperta di boschi. Fino a circa 1.450 metri di quota troviamo Querce caducifoglia e castagni; fin quasi 2.100 metri pini larici, faggi e betulle dell’Etna. Sono queste le specie che rendono la regione montana un tripudio di boschi, e ciò soprattutto sul versante settentrionale, nei territori di Linguaglossa, Randazzo e Bronte.
Simbolo di questa magnificenza è il Castagno dei Cento Cavalli, considerato come il più famoso e grande d’Italia. Antichissimo (probabilmente millenario), con un tronco di circa 22 metri di circonferenza e altrettanti di altezza, e con un’estensione di quasi 60 metri (con tutti i rami), questo castagno è un vero e proprio “monumento” che da sempre ha attirato l’attenzione di studiosi e viaggiatori. Il suo nome, Castagno dei Cento Cavalli, deriverebbe da una leggenda: una regina, sorpresa da un temporale insieme al suo seguito di cento fra cavalieri e dame, avrebbe trovato riparo sotto le fronde dell’albero.