Secondo la tradizione, il proconsole Quinziano, a quei tempi prefetto di Sicilia, invaghitosi di Agata, la chiese in sposa ma la Santa rispose che l'avrebbe sposato solo dopo aver finito di lavorare una tela che, come nella leggenda di Penelope, di giorno tesseva e di notte disfaceva. Quinziano, scoperto l'inganno, la fece arrestare ma la santa che aveva fatto voto di castità non si piegò a Quinziano che la obbligò al supplizio dei carboni accesi e non contento le fece amputare i seni e condotta in carcere subito dopo morì nel 251. Il 3 febbraio iniziano i festeggiamenti in onore della Santa Martire, con la processione della luminaria alla quale prendono parte il sindaco e la giunta comunale a bordo di una carrozza che richiama il modello della carrozza reale appartenuta a Ferdinando II di Borbone. Il percorso arriva fino alla chiesa di San Biagio e, subito dopo, segue l'offerta della cera, tradizione che risale al ‘300. Il busto di Sant'Agata è opera del senese Giovanni Di Bartolo, realizzato ad Avignone e arrivò a Catania nel 1376. Il 5 febbraio, giorno della festa, tutta la città di Catania entra in trance, tutto si ferma, è il momento del legame antico della città alla sua santa patrona. Una tradizione antica ormai non più in uso di cui parla lo storico Pitrè era quella delle ntuppateddii termine che indicava le donne, avvolte in uno scialle, che lasciavano scoperti solo gli occhi. Le devote, durante la festa, godevano della libertà di uscire da sole facendosi corteggiare dagli uomini senza violare il codice d'onore. Durante i festeggiamenti, i catanesi sono soliti preparare i dolci tipici della tradizione agatina fra cui spiccano in particolare le “minnuzze di sant’Agata” in ricordo del martirio e le “olive di Sant’Agata” legate agli eventi miracolosi della Santa.
Il culto di sant’Agata e la devozione popolare
La giaculatoria contro l’invecchiamento
Chista acqua biniritta la viviu Giuditta
La viviu la Vergine biniritta
La viviu Sant’Anna cu na rosa santa
La viviu Santa Rosalia supralu munti Pellegrino
La viviu Santa Sofia nalupuzzu santo
La biniriciu Sant’Agata cu li so manuzzi
Ora la vivu iu pi livari li malanni e anni
(Quest’acqua benedetta la bevve Giuditta
La bevve la Vergine Benedetta
La bevve Sant’Anna con la rosa santa
La bevve Santa Rosalia sopra il Monte Pellegrino
La bevve Santa Sofia nel pozzo santo
La benedisse Sant’Agata con le sue manine
Ora la bevo io per togliere anni e malanni).
Il castagno dei cento cavalli e l’Etna
Il centro etneo di Sant'Alfio, in provincia di Catania, è famoso per ospitare un gigantesco Castagno, da tempo chiamato il castagno dei Cento cavalli, il quale sebbene bruciato nel suo tronco principale nel 1923 è ancora imponente. Infatti i suoi quattro polloni hanno una circonferenza complessiva di circa 50 metri e non è l'unico castagno enorme dell'Etna infatti, nelle vicinanze, ce n'è un altro che per le sue colossali dimensioni è soprannominato la “nave”. Il Castagno dei Cento cavalli deve il suo nome ad una tradizione locale: la regina napoletana Giovanna I d'Angiò che regnò dal 1343 al 1381, vi avrebbe trovato riparo con tutto il suo seguito, formato da un centinaio di cavalieri e dame essendo stato sorpreso da un furioso temporale durante una battuta di caccia sull'Etna allora ricca di cervi, daini e cinghiali. Di questo albero gigantesco si hanno diverse descrizioni di viaggiatori stranieri, molto ricca di particolari è quella fatta dal viaggiatore scozzese Brydon.
Oasi del Simeto
L'Oasi del Simeto è una riserva naturale di circa 2000 ettari, nata grazie alla LIPU che, già nel 1975, creò un oasi di protezione faunistica. La vegetazione del tratto finale del fiume è costituita dalla cannuccia palustre, dalla tamerice africana dove trovano riparo una moltitudine di uccelli sia stanziali che migratori. L'Oasi del Simeto è una zona umida estremamente importante perché come tutte le altre situate nella Sicilia orientale rappresenta una tappa fissa per molti uccelli migratori. Un tempo era una palude molto più estesa che venne prosciugata nell'immediato dopoguerra, a causa della presenza della malaria. Da ricordare che l’oasi del Simeto è stata una tappa importante per la reintroduzione del bellissimo pollo sultano scomparso in Sicilia dopo la bonifica del biviere di Lentini. Oltre al pollo sultano, l'area del Simeto oggi vede il ritorno alla nidificazione di numerose coppie di cicogna bianca. Percorso di lieve difficoltà.
Il parco dell’Etna
Nel 1962, un convegno della Società Botanica Italiana promosse per la prima volta, in maniera concreta, la necessità dell'istituzione di un parco naturale nell'area dell'Etna. Da allora furono necessari ben 25 anni per giungere nel 1987 alla istituzione del Parco Regionale dell'Etna. Vasto complessivamente 59000 ettari, il parco si estende dalla vetta del vulcano fino alla cintura superiore dei paesi etnei. Alto circa 3350 m con un perimetro basale di oltre 200 km ed una superficie di quasi 1600 chilometri quadrati, l'Etna si innalza prepotentemente tra il mar Ionio, le valli fluviali dell'Alcantara, del Simeto e della Pianura alluvionale di Catania dominando con la sua maestosità gran parte della Sicilia Orientale. La flora dell'Etna è molto ricca e variegata tanto da causare con il variare dell'altitudine e dell'esposizione dei versanti, repentini quanto stupefacenti mutamenti del paesaggio. Sull'Etna è presente quasi tutta la Mammolo fauna siciliana, compreso il gatto selvatico e l'invisibile martora mentre fra i rapaci diurni sono presenti l’aquila reale e la poiana. La leggenda vuole che il Vulcano sia il luogo dove si rifugiò re Artù. Il percorso è impegnativo.