Si raggiungono attraverso il percorso privato della villa riservato al dominus e alla sua famiglia. Alcune stanze riflettono l’intento del proprietario di rappresentare, negli ornati musivi che le decorano, contenuti di ampio spessore culturale che, come in altri ambienti della residenza, potrebbero anche suggerirne l’impiego. Nell’eterogeneo palinsesto decorativo che coniuga mito e scene di genere, sembra dispiegarsi un eloquente messaggio.
Una celebre scena mitica, dai molteplici significati, raffigura Ulisse nell’antro di Polifemo (37)
Il piccolo ambiente al quale si accede dalla parte settentrionale dell’ “ambulacro della grande caccia”, per l’episodio narrato nel suo ornato musivo, ci riconduce al IX libro dell’Odissea, nel momento in cui Ulisse sta offrendo una coppa del suo vino al ciclope Polifemo al fine di farlo ubriacare per poterlo accecare durante il sonno.
La scena, oltre a sottendere un preciso significato moraleggiante riconducibile all’astuzia umana che soverchia l’istinto irrazionale di Polifemo, è arricchita da diversi livelli di lettura.
Tra le ipotesi, il soggetto potrebbe rappresentare una semplice trasposizione figurativa del mitico testo letterario o un dramma teatrale allestito in occasione dei ludi, suggerito dalla presenza di maschere sceniche nella stanza adiacente.
La raffigurazione musiva si ricollega ad altri mosaici della villa che trattano tematiche dionisiache.
Un paesaggio che richiama un luogo di ritiro
L’episodio presentato si svolge in una spaziosa caverna che occupa gran parte dell’anticamera. Il riferimento legato alla particolare scena omerica ambientata in un antro siciliano sembra tradurre l’intento del dominus di volerlo accostare a luogo di ritiro. L’episodio correlato all’ingegno di Ulisse riflette un possibile impiego del vano per l’esercizio intellettuale.
La rappresentazione naturalistica della grotta, nella quale risaltano i protagonisti da uno sfondo buio, è arricchita, nella parte superiore, da un orizzonte animato da una linea d’orizzonte intrisa di vegetazione di diverso genere, quasi a richiamare quella presente nel latifondo che circonda la villa.
Una stanza arricchita da una serie di doni ospitali inseriti in un mosaico geometrico (38)
Oltrepassando la scena epica rappresentata nella raccolta anticamera degli appartamenti padronali nord, si accede ad uno spazio quadrangolare arricchito da un’abside. La particolarità che contraddistingue questo ambiente absidato risiede nel fatto di essere l’unico, in tutta la residenza tardoantica, a non presentare un rivestimento marmoreo alle pareti. Questo insolito aspetto ne suggerisce un utilizzo esclusivamente privato, forse come sala da pranzo per la decorazione musiva con diversi tipi di frutta che richiamano, in prevalenza, l’autunno.
Fiori e frutti a vista d’occhio
La sala, che richiama, per struttura e disposizione, un altro ambiente situato nell’appartamento padronale sud, presenta raffigurazioni musive legate alla natura e al trascorrere delle stagioni.
Il pavimento dell’abside, arricchito da un motivo geometrico in cui si inseriscono steli con boccioli, è preceduto nell’area centrale della stanza, da una sequenza di grandi stelle a dodici punte contenenti frutti inscritti in medaglioni di alloro. Tra questi si individuano meloni, cedri, un’anguria, grappoli d’uva, fichi e un mucchio di nespole o di castagne, oltre che mele pere e un melograno.
Un frutto divino
Il frutto del melograno è simbolo di fertilità e di prosperità. Nel mondo greco romano veniva utilizzato per ornare le corone delle spose nelle cerimonie nuziali.
Esso è anche un elemento iconografico ricorrente nel mito di Proserpina che spiega l’avvicendarsi delle stagioni.
Illusioni ottiche che accompagnano lo sguardo
Lungo le pareti affrescate, risaltano su uno sfondo giallo oro, alcune giovani figure femminili, nude o coperte da un mantello, che emergono da uno spazio circoscritto da semicolonne violacee a sostegno di una trabeazione. Al di sopra di essa è possibile scorgere finestre termali con grate rosse che lasciano trasparire l’azzurro del cielo. Esse sembrano ricollegarsi a quelle presenti sui muri originari che si conservano fino a circa due metri d’altezza.
Monili ricorrenti
Sulla parete sud, si scorge una figura di giovinetta nuda, alta circa un metro, adornata da una collana a triplice giro e da armille indossate sulla parte alta delle braccia.
Questi monili, già presenti in altri personaggi che popolano gli ornati musivi della villa tardoantica, si intravvedono nei lacerti musivi che restano di una scena figurata situata lungo lo spazio rettangolare che separa l’aula centrale dall’abside. In esso sono visibili parti di due eroti che sembrano rincorrersi, volgendosi verso sinistra.
Un ambiente che custodisce una celebre scena d’amore e di immortalità (39)
Questo spazio, riconducibile ad un cubicolo con alcova, custodisce una delle scene più celebri della villa. Al centro del mosaico pavimentale due giovani si scambiano un bacio in un abbraccio passionale affiancati dalle iconografie di maschere teatrali femminili e stagioni. L’accostamento di tali raffigurazioni potrebbe ricollegarsi all’eternità dell’amore e al perpetuarsi del tempo che invita a cogliere i piaceri della vita. La presenza del vaso dorato sorretto dalla figura maschile, identificabile con una situla, utilizzata nelle cerimonie nuziali, riporta alle figure mitologiche di Eros e Psiche e al loro matrimonio mitico, metafora dell’unione tra anima e amore e del loro eterno ed immortale legame.
L’evoluzione nel tempo
Il mito di Eros e Psiche è stato tramandato nei libri delle Metamorfosi di Apuleio. I due personaggi, nelle antiche raffigurazioni, venivano rappresentati come giovani alati. In particolare, nelle iconografie di epoca alessandrina, la fanciulla aveva ali di farfalla.
L’immagine della coppia che si trova al centro del cubicolo con alcova restituisce, invece, i protagonisti in modo realistico, nell’abbigliamento e nelle pose, tanto che la giovane si solleva sulla punta dei piedi per raggiungere il volto dell’amato.
La danza delle menadi, le ninfe seguaci di Dioniso
La decorazione parietale dell’ambiente ripercorre il tema dionisiaco già presente in altri luoghi della residenza tardoantica. All’interno di grandi losanghe emergono delle figure femminili in pose animate, mentre tengono tra le mani strumenti musicali identificabili con il tympanume la syrinx. Le vesti che indossano seguono il ritmo dei loro corpi tanto da invitare l’osservatore a partecipare alla loro danza. Le Menadi, denominate anche Baccanti in onore di Bacco, erano le donne che, insieme ai Satiri e ai Sileni, facevano parte del corteo di Dioniso. Il loro nome deriva dal verbo greco "mainomai" che significa "essere pazzo", alludendo alla sfrenatezza tipica dei riti dionisiaci.
Attributi imprescindibili
Elementi tipici che accompagnano queste figure mitiche sono il tirso, bastone dionisiaco sormontato da foglie d’edera o da una pigna e vari strumenti musicali, tra i quali tamburelli dal suono assordante, flauti e crotali. Nell’iconografia classica le menadi sono vestite con pelli di daino o di pantera, mentre il loro capo è cinto da foglie d’edera o di vite.
Nelle pareti affrescate del cubicolo con alcova, esse indossano un lungo chitone o un semplice drappo.