Il primo a citare il territorio modicano fu il celebre Marco Tullio Cicerone, che nelle Verrine (elaborate nel 70 a.C.) ricordò gli aratores dell’«agrum Mutycensem». Il vero e proprio abitato di Modica si sviluppò, però, qualche secolo dopo, nell’Alto Medioevo, a seguito del processo di incastellamento che caratterizzò anche altre città iblee e siciliane.
La città di Modica nacque alla confluenza di tre valloni torrentizi: la cava Ianni Mauro, la cava Pozzo dei Pruni e il vallone San Liberale. Queste tre incisioni scavate nell’altopiano ibleo (alla testata nord della “fiumara di Scicli”) diedero vita a quattro colline che, nel corso del tempo, hanno sempre fatto da cornice all’abitato.
Il Castello
Il nucleo principale di quella che diventerà la città di Modica sorse sul massiccio sperone roccioso del «Castello» (449 metri sul livello del mare), una poderosa cittadella fortificata attestata dalla metà del XIII secolo ma risalente almeno all’età normanna. Sullo sperone si trovano anche due dei principali edifici religiosi di Modica: la chiesa di San Giorgio e quella di San Pietro.
La rocca di Modica
La conquista della «rocca di Mudiqa» da parte dei Saraceni, nell’844-45 dopo Cristo, ebbe il suo posto d’onore nella Cronica di Cambridge. Qualche secolo dopo, nel 1150 circa, il geografo arabo Edrisi descriveva Modica «tra aspre montagne», ma con «abbondanza di comodi e di produzioni del suolo». La prima attestazione del «castrum», affidato a Rogerio Finecte da Lentini, si ha, invece, a metà Duecento. Dunque, a partire dall’VIII secolo circa, attorno alla rocca di Modica si sviluppò la città, con un processo di intensa urbanizzazione favorito anche dalla istituzione della Contea, della quale Modica fu capitale per diversi secoli, fino all’inizio dell’Ottocento.
San Pietro e San Giorgio
Oltre al castello, le due chiese principali segnavano fortemente lo spazio urbano. A valle, la chiesa di San Pietro; più sopra, vicino al castello, quella di San Giorgio. Entrambe furono completate dopo il terremoto del 1693. In questa foto vediamo sullo sfondo il Castello, e in primo piano la cima del superbo campanile di San Giorgio, la cui facciata è una delle più belle e scenografiche della regione.
Il castrum
La poderosa cittadella fortificata che formava il castrum di Modica era, nella sostanza, uno «sperone sbarrato», cioè una rocca isolata a nord da «un immenso muraglione» di sbarramento. Il sistema difensivo comprendeva anche un percorso sotterraneo che, con diverse diramazioni, scendeva a fondovalle, fino alla «grotta dei Parrini». Lo storico modicano Placido Carrafa a metà Seicento lasciò una descrizione particolareggiata della cittadella, poi distrutta dal sisma del 1693: quattro torri angolari, un portone centrale di ingresso (chiuso nel ‘400), un ponte levatoio, un cortile, un giardino, tre chiese, un cosiddetto Tempio del sole… Tutti elementi che facevano, di questo maniero, il grande «Castello di Modica».
Il terremoto del 1693
Il terremoto del 1693 distrusse quasi interamente il castello. Oggi non restano che un tratto di terrapieno, una bifora inglobata in una struttura ottocentesca, e un torrione poligonale, detto «di Anselmo» (qui visibile nella foto di Luigi Nifosì), sito in via Catena a lato della chiesa di San Giuseppe. Poveri resti di quella che fu una superba roccaforte.
L'urbanizzazione della città
Questa foto mostra un particolare dell’intensa urbanizzazione di Modica. In alto è lo sperone del Castello. In basso la chiesa di San Pietro, con la sua imponente facciata e la grande scalinata. In mezzo, le abitazioni, così descritte dallo storico e archeologo Aldo Messina: «Lungo gli spalti dello sperone si addensano le abitazioni rupestri, mimetizzate dalle facciate in muratura, disposte su terrazzi collegati da una angusta viabilità, talora rispettosa delle curve di livello, talaltra costituita da veloci rampe. Le grotte si concentrano, assumendo la fisionomia di veri e propri quartieri trogloditici, su entrambi i versanti dello sperone… e si espandono oltre gli alvei torrentizi, nelle prime balze dei versanti opposti».
La chiesa in grotta di San Nicolò inferiore
Accanto alla chiesa di San Pietro si trova la testimonianza più importante dell’architettura rupestre modicana, scoperta casualmente nel 1987 da Duccio Belgiorno: la chiesa in grotta di San Nicolò inferiore, risalente probabilmente all’inizio del secondo millennio. Gli affreschi con didascalie in lingua greca (XII sec.) e latina (XIII sec.) – superbo il Pantocrator con ai lati la Mater Domini e l’Arcangelo Michele – e i continui rimaneggiamenti, fanno di questa chiesetta un palinsesto della storia religiosa modicana.
Modica nei secoli
Nel corso del tempo Modica continuò a svilupparsi sui fianchi delle colline e negli alvei torrenti. Fino al secolo scorso, questi ultimi erano inframezzati da ponti, tanto da dare l’impressione di trovarsi in una piccola Venezia. Successivamente, gli alvei vennero ricoperti, e divennero così i corsi principali della città odierna.
Un’immagine del «Castello di Modica» a inizio Ottocento ci viene fornita da una litografia pubblicata nel Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie di Cuciniello e Bianchi (1829). «Al presente – leggiamo nel testo di commento – Modica alberga diciottomila abitanti, tra’ quali molte nobili famiglie. Abbonda di chiese e conventi, ed i viaggiatori lodano la scalinata di S. Pietro… Tale e così pellegrina è la sua postura che degna ci parve di andar figurata in quest’opera. E veramente sopra un’aguzza collina s’innalza…».
Fascino, bellezza e maestosità
L’immagine proposta da Cuciniello e Bianchi è presa da una prospettiva che ancora oggi conserva tutto il suo fascino e la sua efficacia. Il punto di osservazione si trova ai piedi dello sperone roccioso, e permette di osservare la rocca in tutta la sua maestosità e potenza. A ingentilire l’immagine sono i palazzi e le case che circondano il Castello, e sulla torretta, l’antico orologio settecentesco, diventato ormai uno dei simboli della città.