Una forte differenza visiva connota il paesaggio urbano di Caltagirone, rispetto ai centri del Val di Noto. Proprio a causa dei disastrosi crolli, avvenuti nel 1693, in città nuove come Noto i campanili erano interdetti mentre a Ragusa costituivano singolari e problematiche eccezioni. A Caltagirone tuttavia, anche in pieno Settecento, la pratica non cessò: si continuarono a riparare e costruire alti campanili, a partire soprattutto da quello della chiesa madre, l’esempio più importante e imponente della città.
Un paesaggio turrito
Il prestigio del campanile della chiesa madre sta alla base di una tradizione di torri campanarie che si estende per tutto il XVIII secolo, e caratterizza la città per differenza rispetto agli centri, dove possiamo immaginare che degli appositi regolamenti, ne impedivano o limitavano la costruzione.
Un campanile nelle absidi
Una cronaca seicentesca indica l’esistenza di un campanile medievale, collocato nelle absidi della chiesa Matrice: “opera bizzarrissima fatta alla francese”. Secondo la stessa fonte, il campanile era stato riparato con imponenti lavori di cinturazione della base, dopo il terremoto del 1542, e vi era stata collocata la statua di un’aquila, stemma della città, con l’iscrizione: “RENOVATA VETUSTAS ANNO 1542”. Lo straordinario impegno civico, testimonia il valore simbolico e identitario che il campanile antico possedeva, ma la sua storia fu molto complicata.
Un campanile nelle absidi
Le testimonianze scritte rammentano ed evidenziano il peso simbolico e la valenza civica della torre, che, al pari della chiesa madre, era un’opera pubblica, realizzata con le risorse dell’intera comunità cittadina.
Una fatica di Sisifo: crolli e ricostruzioni
Gli interventi del primo Seicento di Giovan Domenico Gagini nella fabbrica del campanile immisero note di colore attraverso l’utilizzo di pietra bianca e rossa (come nel campanile della chiesa madre di Piazza Armerina). Il terremoto del 1693 obbligò a riprendere la costruzione dalla base, con un cantiere complicato e lungo a cui parteciparono il canonico architetto Antonino Di Martino e il capomastro Silvestro Gugliara (già collaboratori del Gagliardi) e che si sarebbe concluso con un nuovo disastroso crollo nel dicembre 1762. Il traumatico disastro, proprio negli stessi giorni in cui Gagliardi moriva nella sua casa di Noto, provocò ulteriori accesi dibattiti.
Una fatica di Sisifo: crolli e ricostruzioni
Dopo il 1762 conosciamo i nomi dei professionisti coinvolti nella ricostruzione: gli architetti Francesco Battaglia, Natale Bonaiuto, Giovan Battista Cascione Vaccarini, mentre il completamento e la realizzazione del bulbo, agli inizi del XIX secolo, si deve al celebre professionista palermitano Giuseppe Venanzio Marvuglia.
Altri campanili
Numerose altre chiese, come quelle di San Francesco o di San Giacomo possiedono campanili, le cui storie non sono ancora state del tutto svelate. Dettagli e terminazioni rimandano spesso a tempi più recenti e a rifiniture ottocentesche. Persino a Rosario Gagliardi durante la sua permanenza a Caltagirone nel 1744 venne commissionato un piccolo campanile per l’oratorio del Crocifisso, oggi scomparso. Si trattava di una occasione speciale, che solo un centro come Caltagirone poteva offrire, visto che l’architetto siracusano non sembra mai avere avuto altre occasioni di disegnare o costruire campanili.
Altri campanili
La storia dei campanili di Caltagirone è continuata sino a tempi recenti. Tra Otto e Novecento si colloca la costruzione della torre campanaria della chiesa di San Giuliano che, gratificata dal ruolo di cattedrale della nuova diocesi, fu soggetta a una radicale ricostruzione.
Una torre-belvedere
Nella costellazione di prove e progetti che ruotano intorno all’annoso problema della ricostruzione del campanile della chiesa madre di Caltagirone, si possono collocare anche episodi sperimentali per forma, per linguaggio e per uso. Il campanile-belvedere, che presenta più registri di loggiati - finalizzati ad assistere ai riti pubblici e alle processioni - nella chiesa del monastero femminile di San Gregorio Magno è dovuto a un poco noto sacerdote- architetto, Nicolò Commendatore, che nel 1738 ne elaborò il complesso disegno.
Una torre-belvedere
Nel caso della torre di San Gregorio, la funzione era strettamente connessa alle esigenze delle suore committenti. Moltiplicando i piani e le aperture, il progettista aveva alleggerito la struttura e integrato la funzione della loggia belvedere con quella del campanile.