La rocca che sovrasta il centro di Scicli è il nucleo originario del paese. Qui, nell’ottavo secolo dopo Cristo, i Bizantini costruirono una fortificazione sulla cima della collina, lì dove il territorio formava una difesa naturale contro gli attacchi dei Saraceni. In questo luogo gli abitanti, prima sparsi nelle campagne, si andarono a rifugiare terrorizzati attorno al castello, come anime spaurite bisognose di protezione. E sempre qui, infine, venne costruita una seconda fortificazione e la prima di numerose chiese, la matrice di San Matteo, che diede anche il nome alla collina. Sulla rocca di San Matteo (una vera e propria acropoli) troviamo la genesi di Scicli.
L'acropoli
L’acropoli di Scicli nel particolare di una veduta della città disegnata nel Settecento. Sono visibili i castelli, le torri, la cinta muraria, la chiesa madre e le due gole(cave) di San Bartolomeo e di Santa Maria la Nuova. Tutti gli edifici sembrano “aderire” e conformarsi ai sinuosi andamenti della collina e sembrano convergere verso la rocca. (disegno conservato presso le Biblioteche Riunite “Civica e Ursino Recupero” di Catania)
Il Castelluccio
Uno dei fulcri principali del castello più antico, il cosiddetto «Castelluccio», è la «torre dei tre cantoni», di forma triangolare come quella di Lentini. Incerta la sua origine (anche se gli storici locali dicevano fosse stata costruita addirittura dai Siculi o dai Sicani). Un tempo svettava, alta e superba, a controllare tutto il litorale e il mare fino a Malta, ma poi venne distrutta dal terremoto del 1693. Secondo la tradizione, i suoi vertici si proiettavano sul territorio, verso le tre punte dell’isola: i capi Pachino, Peloro e Lilibeo.
La collina di San Matteo
La collina di San Matteo con, in primo piano, lo sperone con uno dei due fortilizi, il «Castellaccio», nascosto da una casa di recente costruzione e ormai in rovina. Sullo sfondo la pianura con il «Castelluccio». A destra in basso, a strapiombo, il canyon della Cava di San Bartolomeo.
Il Castellaccio
La seconda fortificazione, il «castellaccio», si presenta come un tipico «donjon» normanno: si tratta, infatti, di un possente torrione databile all’inizio del secondo millennio (XI-XII secolo) e collocato sulla cima dello sperone roccioso, a oltre 200 metri, nel punto più inaccessibile e difendibile del territorio. Attorno ad esso vennero costruite le mura della città e le abitazioni, e ai suoi piedi vennero edificate diverse chiese, tra le quali la Matrice di San Matteo. Oggi del Castellaccio restano solo ruderi pericolanti.
La città vecchia
Sulla collina, al centro, la facciata della Chiesa Madre di San Matteo e, sopra di essa, il Castellaccio. La città vecchia si sviluppa sui fianchi della collina, mentre quella nuova si estende a valle.
La Chiesa Madre
L’antica chiesa madre di Scicli, intitolata a San Matteo, occupa il punto centrale e più visibile dell’omonima collina. La sua fondazione risale ai primi secoli del secondo millennio. L’edificio originario, con un superbo campanile, venne costruito all’interno della cinta muraria, ma fu interamente distrutto dal terremoto del 1693. Dopo di allora, si decise di ricostruire la chiesa nello stesso identico sito, anche se la città ormai da secoli aveva cominciato ad espandersi a valle: evidentemente il legame con la collina, anche dopo il terremoto, restava sempre molto forte.
La città nuova
In primo piano il tetto della chiesa madre di San Matteo con il sentiero che conduce al Castellaccio. In basso la città “nuova”, sviluppatasi a partire dalla seconda metà del ‘300, dopo la peste, e soprattutto dopo il terremoto del 1693.
Scicli nei secoli
A partire dal Settecento Scicli accelerò vertiginosamente il suo processo di scivolamento a valle. Il rapporto fra le città e il territorio era ormai cambiato: non occorreva più rifugiarsi in cima alle montagne o alle colline, difesi da una cinta muraria. La città moderna era proiettata all’esterno, verso il mare e i suoi traffici internazionali. Nuove chiese, nuovi conventi e monasteri, nuovi palazzi vennero così edificati nella città «ai piedi del colle». Ma sarà sempre la Natura e il territorio a comandare: gli edifici della città nuova dovettero adattarsi agli andamenti sinuosi disegnati dai torrenti.
Il castello oggi: simboli ed emozioni
Alla fine dell’Ottocento, quando ormai da tempo i castelli erano in rovina e quasi tutti gli abitanti avevano lasciato la collina, la chiesa di San Matteo venne definitivamente abbandonata e sconsacrata. Ma l’imponente edificio tardo-barocco è rimasto integro, e continua a dominare ancora oggi, maestoso, il panorama urbano cittadino, con una forte valenza simbolica ed emozionale.