Una leggenda locale narra che, una notte di primavera del 1091, gli sciclitani furono informati di un imminente sbarco da parte dei Saraceni, sulla spiaggia di Donnalucata. Impauriti corsero a pregare la Madonna della Pietà, la quale apparve loro sopra una nuvola a dorso di un cavallo, con la spada sguainata alla guida di un drappello di soldati Normanni, sopraggiunti miracolosamente con a capo il Conte Ruggero. Il combattimento tra i Saraceni e i Normanni fu breve ma cruento, i Saraceni furono respinti in mare e il Conte Ruggero, dopo la vittoria, consacrò una chiesa della città alla Madonna delle Milizie. Un tempo, i festeggiamenti in onore della Madonna si celebravano il sabato che precede la Settimana Santa mentre oggi si svolgono l'ultima domenica di maggio. La statua della Madonna è una scultura in cartapesta di ottima fattura, in atteggiamento guerresco e unica nel suo genere in quanto, a differenza delle altre statue raffiguranti la Vergine, è rappresentata su un cavallo bianco con la spada sguainata contro i turchi, due dei quali giacciono a terra sotto il cavallo. Ancora oggi i siciliani testimoniano l'amore per la Vergine Maria con l'espressione “Maria Santissima bedda”.
Le due di Sampieri
Le dune costiere di Sampieri rappresentano oggi uno degli ultimi ecosistemi sabbiosi costieri presenti in Sicilia, risparmiati alla pressione antropica ed in particolare all'espansione edilizia che nella nostra regione è stata la causa principale della scomparsa di decine e decine di chilometri di questo habitat. Dato che storicamente le principali attività umane si sono svolte sulla fascia costiera, la riduzione degli areali di questo sistema naturale è avvenuta su scala mondiale e per questo motivo i sistemi dunali costieri rappresentano oggi in Europa habitat prioritari ed ecosistemi tra i più vulnerabili e più seriamente minacciati a livello planetario. La presenza di un sistema dunale è dovuta alla coesistenza di alcuni fattori che ne determinano la morfologia, questo si verifica quando si ha abbondante apporto di detriti che può essere di origine fluviale o marina o per la presenza di forti venti dominanti e della vegetazione dunale.
La fornace penna
La Fornace Penna fu realizzata tra il 1909 e il 1912 su progetto dell'ingegnere Ignazio Emolo che scelse il sito di punta Pisciotto, a ridosso del mare. Il sito venne scelto per un fondale adatto all’attracco delle navi e la vicina ferrovia con accanto la cava di argilla. A poche centinaia di metri dalla fornace, per reperire la materia prima, è la presenza di una sorgente con abbondante disponibilità di acqua. Lo stabilimento produceva laterizi che venivano esportati in molti paesi mediterranei, si dice che dopo la guerra del 1911, Tripoli fu ricostruita con i laterizi di Pisciotto. Si lavorava dall’alba al tramonto, da maggio a settembre. La cessazione dell'attività dello stabilimento avvenne durante la notte del 26 gennaio 1924, a causa di un incendio doloso che la distrusse totalmente. Negli ultimi anni, grazie al fascino delle sue imponenti rovine, la Fornace Penna è stata utilizzata come set cinematografico e alcuni studiosi la considerano un simbolo dell'archeologia industriale dei primi del ‘900. Inoltre oggi ospita tantissime essenze diventate ormai rare nel resto della costa del sud-est come: l’efedra fragile, il ginepro coccolone e la fillirea.
Museo del Costume
Il museo si trova al numero 65 della via Mormino Penna, all'interno di un ex monastero una volta annesso alla chiesa di San Michele. Allestito dall'Associazione culturale “L'isola” nelle sale dell'Opera Pia Carpentieri, è composto da sei sezioni che raccontano la storia del costume negli Iblei. Ricca l'esposizione, comprende reperti etnografici insieme a documentazione d'archivio fotografica e audiovisiva, frutto di una ricerca condotta nel territorio a partire dalla seconda metà degli anni ’90. I visitatori possono ammirare abiti d'epoca, cappelli, accessori dell'abbigliamento, riviste e stampe di moda, caratteristici materiali da lavoro come il telaio. Una sezione è dedicata ai lavori donneschi ovvero manufatti e strumenti del lavoro femminile che facevano parte della dote nuziale, tanto che un proverbio ibleo recita: e rricchiricchizzi, figghimasculi e cuntintizzi, e poveri puvirtà, figghifimmini e calamità. (Ai ricchi piovono ricchezze, figli maschi e gioia, mentre poveri povertà figlie femmine e guai). Un museo particolarmente amato dalla comunità locale, visto che in tanti hanno contribuito ad arricchirlo di oggetti della tradizione familiare.